È sera. Sono solo. Accanto a me un bicchiere di vino mi fa compagnia e mestamente mi ricorda che un bel rosso a volte aiuta a riflettere. E così si pensa, si pensa ad un viaggio in Messico appena terminato, si pensa ad una vita che scorre imperterrita senza darti il tempo di fermarti a godere delle singole giornate.
Ormai ogni giorno è una lotta contro il tempo; impegni a destra, impegni a sinistra…
Sveglia presto, vai al lavoro, una pausa fugace per ristorarsi, ancora lavoro e poi casa…doccia, sistema casa, fai un paio di coccole anche esse fugaci ai cani, prepara la cena…e poi? Si chiama forse vivere questo? Non saprei.
D’altronde siamo parte di un sistema e nel bene o nel male dobbiamo adeguarci.
Bevo un altro sorso di vino…
Vino, che spettacolo. Mi chiedo: “lo berranno mai quei piccoli bambini, una volta diventati ragazzi, un goccio di buon vino come sto facendo io ora?”
Non lo so.
Mi accorgo che stasera non so troppe cose.
La strada tra Palenque e San Cristobal lascia parecchi interrogativi, molte domande senza risposta. Non è nelle mie corde emozionarmi facilmente, eppure questa strada ti porta ad una riflessione, ti porta a scrivere un post introspettivo.
190 km! Sono 190 i chilometri che separano Palenque da San Cristobal. 190 lunghissimi chilometri che ti portano da 0 ai 2100 metri di una delle più belle cittadine del Chiapas.
È il primo pezzo tra Palenque e le cascate di Agua Azul che ti emoziona e sconvolge.
Bambini seduti a bordo strada, ecco quello che troverete. E mentre starete passando, questi bambini di pochi anni d’età s’alzeranno in piedi tendendo una corda sottile da un capo all’altro della strada. Vi intimeranno di fermarvi.
Voi, armati di acceleratore, potreste sbeffeggiarvi del debole posto di blocco. Invece no, vi fermate e con cordialità declinate ogni offerta. Non si tratta di richieste di denaro, questi bambini cercano solo di vendervi i loro prodotti, semplici pannocchie di mais o frutta varia.
Non fate in tempo ad innestare la seconda che la scena si ripete.
Altro spartano posto di blocco, altro tentativo innocente di vendita.
È così e va così, ne prendo atto.
Me ne capacito ancor di più durante la visita alle cascate di Agua Azul. Un intero villaggio costruito sulle rive del fiume che alimenta le cascate e che vive con i proventi del turismo che viene a visitare Agua Azul.
Miriadi di bambini locali. Non si capisce se ci siano più bambini o turisti. In mezzo alla strada ciottolata ed alle bancarelle colorate loro corrono. No, non hanno uno smartphone di ultima generazione, no, non giocano a pokemon go sebbene nella selva possano trovare probabilmente pokemon rari. No, niente di tutto questo.
Nei vestiti più grandi di loro di qualche taglia si rincorrono come si faceva una volta. Non hanno nulla di più che quegli indumenti datati. Eppure ridono, scherzano, si divertono con il nulla, semplicemente con quello che la natura gli concede.
Li vedi lanciarsi con le liane tra le fresche acque del fiume di Agua Azul.
Lanciarsi nel fiume? Si, intendo giocare sul fiume. Nessuno li riprende per questi giochi ardui ai limiti della decenza? No, nessuno. Sono felici? Sì, decisamente sì.
Lunge da me pensare che l’atteggiamento probabilmente superficiale dei loro genitori sia corretto. Sottolineo solamente quanto a volte sarebbe bene uscire da convenzioni, strutture e decisioni indotte dalla società.
Da una parte il nero, dall’altra il bianco. Tante volte sarebbe intelligente soffermarsi sul grigio.
La strada tra Palenque e San Cristobal è anche un piccolo percorso interiore. Non tutti, secondo me lo riescono a cogliere. È un po’ come quei quadri pieni di puntini colorati che sembrano tutti uguali ma solo concentrandoti riesci a trovare l’immagine nascosta. Ecco, direi che è proprio così. Non tutti sono in grado di cogliere questi aspetti. È anche vero che magari non a tutti interessano.
Ma se sei un viaggiatore, e non un turista, l’impatto con la cultura locale rappresenta uno dei punti più importanti del viaggio.
Su questa strada, capita che il posto di blocco sia “mobile”. Due bambine non tendono una corda per l’intera carreggiata, no, una è seduta a centro strada, l’altra sul bordo. La corda è sufficiente solo per una corsia. Arrivi con l’auto, loro si alzano e come in una sorta di limbo nostrano occupano la singola corsia. Ti fermi e ti lasci intimidire dai loro grossi occhioni. Vendono mais, patatine o frutta, ovvero i pochi prodotti che la terra gli concede.
Purtroppo, non acquisti, non puoi, dovresti farlo con tutti. Allora ricambi con un economico ma sincero sorriso e più avanti ti fermi ad una piccola bancherella stradale. Mamma, figlio e due figlie di cui una molto piccina. Si cuociono pannocchie alla brace condite con lime e sale. Il figlio con estrema riverenza aiuta la madre nella preparazione; la bambina più grande accudisce quella più piccola.
Mi immagino la scena in Italia. Non la vedo possibile.
Ne ho riprova qualche giorno dopo il mio rientro nel Belpaese. In una delle tante attivazioni adsl che mi capitano durante la settimana trovo una famiglia con un ragazzino di poco più di dieci anni. Giustappunto l’età del bambino delle pannocchie. Con fare arrogante dice che vuole il WiFi e mentre lavoro continua a giocare con la playstation simulando ogni scena del gioco in televisione. Ha qualche chilo in più del dovuto, probabilmente al McDonald non cuociono tante pannocchie di mais. Ma non è questo il problema, casomai il problema è l’atteggiamento ed io, fresco del ritorno messicano, faccio mentalmente una veloce comparazione tra i due bambini; tra il bambino delle pannocchie ed il bambino della playstation.
Cosa mi rispondo? Non saprei.
Per l’ennesima volta in questo post mi accordo di non avere una risposta. Forse sono ragionamenti più grandi ed impegnativi di quello che sembrano, sono tante le cose da mettere sulla bilancia. Sicuramente a questo ragazzino farebbe bene qualche giorno nella selva allontanarsi dalle comodità che sembrano dovute quando in realtà sono una gran fortuna.
…il vino sta finendo, la serata volge al termine e comincia a subentrare un po’ di stanchezza…
Vi racconto un ultimo aneddoto.
Da Ocosingo in poi non si trovano più i blocchi stradali. La strada termina a San Cristobal, una città che oserei chiamare la perla del Chiapas. Qui il viaggio porta ad un’altra riflessione. La città è splendida ma la povertà di certa gente è evidente.
Ti accomodi in un bar sulla piazza per fare colazione. Ci sono i menù a prezzo fisso ed i costi sono irrisori per ciò che ti portano. Il tavolo viene addobbato di cibo che sai benissimo non finirai, te ne rammarichi ma sai che non puoi farci niente.
Sono tanti i bambini di 7/8 anni che girano nella piazza principale cercando di vendere piccoli oggetti di artigianato. Ti chiedono di acquistare qualcosa e al cortese diniego rispondono con uno sguardo al cibo. Hanno fame, la nascondono bene ma hanno fame. Allora ti chiedono un misero pezzo di pane. Tu vorresti darglielo ma sai benissimo che dopo 5 minuti la situazione diventerebbe insostenibile. Dinieghi di nuovo.
Dopo l’ennesimo rifiuto, uno di essi si siede sugli scalini del porticato. Fissa il vuoto ed armeggia un piccolo oggetto di legno. Sembra triste, anzi lo è.
La sorte purtroppo è maligna. Al suo fianco si mette in posa una famiglia più agiata della sua. Una bambina in forma e la sua mamma. Un sorriso, un abbraccio ed uno scatto. Il bambino le guarda con tenera invidia. Lo vedi e capisci quanto spesso si diano per scontate certe cose che in realtà sono le cose più importanti. Prendi una fetta di pane, la imburri, la rivesti di marmellata e gliela porgi. I suoi occhi diventano il doppio. È felice e ringrazia.
Poco dopo è il turno di una signora. I suoi goffi movimenti sottolineano l’età ormai anziana. Traballante si avvicina al tavolo, tu hai finito la colazione. Niente più pane, niente più burro, rimane solo un po’ di marmellata. Gliene porgi 3 scatoline, lei è contenta come se le avessi dato chissà che cosa.
Un altro signore, la cui giovinezza appartiene ormai al passato, cammina lentamente sotto i portici e scruta con interesse i tavoli con i residui delle colazioni altrui. I nostri ex vicini di colazione hanno lasciato la tavola quasi completamente imbandita. L’anziano se ne accorge ma per rispetto non tocca nulla nonostante sia palese che stia cercando cibo. Si avvicina ad un tavolo e si impossessa solamente di una scatolina di miele non terminata. Pensi che sarà la sua piccola ma intensa colazione ed invece no, la nasconde in un buco di una colonna per quando ne avrà bisogno.
…il vino è finito, non mi accompagna più nella stesura di questo articolo.
Uno sguardo al bicchiere vuoto, un altro all’orologio, s’è fatto tardi.
Il Chiapas mi ha regalato questi momenti che ti fanno riflettere sia durante il viaggio sia a casa, momenti che ti fanno maturare e crescere.
Ogni viaggio regala questi spunti di riflessione, basta sapere coglierli.
Concludo con un aforisma che sottolinea questo concetto.
“Una destinazione non è mai un luogo, ma un nuovo modo di vedere le cose” Henry Miller.
Ciao Ema, che dire? Non ho parole proprio come te nel post. E’ meraviglioso anche se fa riflettere.
Come ha detto Agnese, nel nostro piccolo dobbiamo essere sinceri e chiari, essere realisti con quello che leggiamo e che viviamo. Purtroppo ho vissuto ciò in alcune realtà del mondo e per mia fortuna ho imparato ad accontentarmi.
La cosa che più mi fa riflettere è come ciò sia possibile ciò. Purtroppo però non ho risposte, o forse, in parte si. La mia risposta più grande è che le persone, quelle che come me e te si possono permettere un wifi, un computer, un viaggio sperimentino questi viaggi. Provino a immergersi in realtà diverse, distanti, immaginabili dalla loro comune vita.
Grazie per questo post, l’ho sentito molto mio. L’Ho sentito molto attuale. Molto intimo!
Grazie
Grazie mille Gloria! Questo articolo è uno di quello che ho piú a cuore. É molto diverso rispetto a quelli che scrivo di solito, ma mi ha permesso di lasciare scorrere un po’ di piú le parole. Ora risulta tanto attuale, ci accorgiamo meglio di quali siano le cose realmente importanti e quelle, invece, futili. Sono molto felice tu abbia apprezzato questo post.
Il più emozionante e indimenticabile ricordo della vita è ricevere un sorriso da un bambino.
A noi costa poco, ma quegli occhi e quel sorriso ci accompagneranno per tutta la vita
Viaggiare solo per vedere monumenti, mari, Paesi, culture e città diverse senza lasciare dietro di noi un sorriso, non ha senso.
Distinguamoci dai tanti arroganti e xxxxxx turisti che si spostano continuamente da un posto all’altro solo per dimostrare la loro nullità.
Regala un sorriso, anzi, 1000 sorrisi e ti sentirai felice per il resto della tua vita
Non posso che essere davvero d’accordo!
Ciao, mi trovo ora in Messico, insieme alla mia famiglia con una piccola di 3 anni e mezzo. Stavamo proprio pensando di andare a vedere il Chiapas, visto che qui dove siamo ( Playa del Carmen ) tutti i messicani ci consigliano di andare. Onestamente dopo aver letto questo, sinceramente ci stanno venendo parecchi dubbi al riguardo. Come scritto a differenza di tanti turisti, noi viaggiamo, guardiamo ogni dettaglio del paese che visitiamo. Cosa ci consigliate voi che avete già passato questa esperienza, si può fare insieme a una bimba piccola, o meglio restare in zona e visitare giusto Holbox, e dintorni? Grazie
Ciao Walter, il Quintana Roo ed il Chiapas sono completamente differenti. Il Quintana Roo è plasmato dal turismo non solo nei luoghi ma anche nella gente. Mi sono trovato benissimo a Tulum, per dirti, ma San Cristobal ti rimane dentro. Non so perchè, forse per la sua storia, forse per la città stessa che è molto bella, forse anche per la strada che ti porta da Palenque a San Cristobal. Non saprei. Eppure tutti quelli che ci vanno, tornano indietro con una bellissima impressione del Chiapas. Di certo è meno semplice dello Yucatan o del quintana Roo ma fattibilissimo. La prudenza va utilizzata anche sotto casa (intendo nella quotidianità di tutti i giorni), dunque il pericolo od il non pericoloso dipende spesso anche dal nostro buon senso. Per andare a San Cristobal con una bimba piccola di 3 anni e mezzo non saprei dirti, al momento non ho figli e non potrei darti un consiglio ponderato. Credo che dal punto di vista della sicurezza, se viaggi di notte non ci siano problemi. La strada per San Cristobal è difficile e stressante per chi guida, ma di pericoli non ne ho notati. Certamente ci sono le bimbe che si alzano in mezzo alla strada per cercare di venderti qualche prodotto, ma nulla di più. Attenzione solo che da Playa a San Cristobal sono davvero tanti tanti chilometri. Holbox non l’ho visitata ma è, credo, meno autentica del Chiapas. Buon viaggio Walter, torna a farmi sapere come è andata!!
Ciao Emanuele! Sono stata molto contenta di leggere questo tuo post, perché credo sia importante, nel nostro piccolo, spendere ogni tanto qualche parola sulle emozioni che i viaggi ci hanno lasciato. Io non ho mai fatto quella strada e, per semplici contingenze, non ho praticamente mai visitato Paesi o aree povere del mondo. Non so io come reagirei alle situazioni in cui ti sei trovato tu, ma credo che le considerazioni che farei sarebbero molto simili. Pensando al “bambino della playstation”, soprattutto, mi chiedo spesso (senza mai risposte) come sia possibile, e come sia assurdamente ingiusto, che nel mondo ci siano queste enormi disparità sociali solo per una pura questione geografica: a volte sei sfortunato e vivi male solo perché sei nato dalla parte sbagliata del mondo, tutto qui, e lo trovo veramente ingiusto!
Grazie per queste riflessioni! Il vino aiuta sempre, comunque 😀
Grazie Agnese! Premettendo che si, il vino aiuta sempre …è vero, ogni tanto bisogna spendere qualche parola su questi temi che rischiano di passare in secondo piano. Tra il bambino della playstation e quello della strada per San Cristobal non saprei però dire quale effettivamente sia più felice. Penso che la felicità intesa con i nostri canoni, non sia la felicità assoluta. Noi associamo il concetto di felicità ad alcuni valori che in altre parti del mondo non prendono nemmeno in considerazione. Su quella strada, la mia impressione è di aver visto dei bambini felici, od almeno è ciò che mi è sembrato. È comunque un argomento difficile su cui discorrere, io ho voluto fare questo post e queste considerazioni perchè ho visto una netta differenza tra il noi ed il loro, ma onestamente non saprei dirti quale sia la situazione migliore 😀
Manu, questo post è stupendo!
Ora non voglio più sentirti dire che non sai scrivere post emozionali!
Grazie Nico ! Ma per scrivere post emozionali mi serve il vino…ahaha, quindi poi divento un blogger ubriacone ! Se ti è piaciuto, prometto che ne scriverò altri allora….
Io ho adorato quella strada.
Quando la percorsi io, venivamo fermati dagli zapatisti che raccoglievano fondi per la sussistenza delle loro comunità.
Un po’ di tristezza c’è sempre ma non per un’eventuale sfortuna ma per la condizione che certe terre devono vivere giorno dopo giorno e, con esse, la loro gente.
Dal Centro al Sud America (come purtroppo in altre parti del mondo) le colpe del mondo in cui noi viviamo sono maggiori della sfortuna. A me è stato quello che ha fatto pensare
Anche a me quella strada è entrata nel cuore, a parte l’infinità di dossi. È vero anche questo tuo punto di vista, spesso e volentieri le condizioni in cui vivono certe persone sono delle conseguenze dell’arroganza o paventata supremazia di altre. Purtroppo, il Chiapas è stato e lo è tuttora sebbene sia leggermente migliorata la situazione, in secondo piano nelle politiche amministrative Messicane. Io non sono stato fermato dagli zapatisti perchè oramai il movimento è più attenuato rispetto a tempo fa, ma il loro orgoglio lo si nota comunque ed è sedimentato nella popolazione di San Cristobal. Quello che mi piace è comunque il loro sorridere sempre e comunque alla vita, nonostante le condizioni non siano delle migliori.