Valtrompia: tra storia, cultura e ricordi di giovinezza

Non so perché ma scrivere un articolo sulla Valtrompia ha quel sentore di casa, di seconda casa; mi fa pensare a tutte quelle giornate d’agosto a cavallo tra l’infanzia e l’adolescenza che passavo nella casa di mia nonna in Alta Valtrompia nel paese di San Colombano.

Quanti “agosti” che ho passato al fresco dell’alta valle.

Quando i miei colleghi bresciani mi hanno detto che c’era la possibilità di raccontare e descrivere alcuni aspetti di questo pezzo di territorio bresciano a me tanto caro, bhè…non potevo che essere più che felice.

La Valtrompia, come vi dicevo, rappresenta una “seconda casa”, dopotutto parte della mia famiglia ha origini valtriumpline. Mio nonno nativo di San Colombano, mia nonna di Collio (il paese vicino). Insomma, un po’ del mio dna viene dalle pendici del Monte Maniva. Posso dire di sentirmi fiero di aver contribuito anche io allo spostare il fieno a destra ed a manca nei periodi estivi.

Parlando con i ragazzi che mi hanno accompagnato in questa domenica dedicata a #feelvaltrompia mi sono però stupito non fossero mai stati in alta valtrompia. Sarà che fino a pochi anni fa abitavo nella periferia nord di Brescia e dunque ero ad uno “schioppo” dalla valle. Sarà forse che al villaggio prealpino, dove sono cresciuto, 1 persona su 2 nella sua vita ha posseduto almeno una casa tra Lavone e San Colombano e che ad agosto il villaggio risultava praticamente deserto in quanto espatriato in Valtrompia, fatto sta che è una parte del territorio bresciano che mi ha fatto piacere riscoprire.

Con il progetto #AmazingBrescia cerco e cerchiamo di promuovere queste zone della provincia di Brescia. #Feelvaltrompia fa parte di questo progetto e credo sia importante per la valorizzazione di patrimoni locali a volte purtroppo poco conosciuti.

Alla scoperta della storia della Valtrompia con #feelvaltrompia

La storia di un luogo è legata necessariamente dalla sua conformazione e dalle caratteristiche geografiche e geologiche in cui si trova. Un tempo si doveva per forza fare di necessità virtù e vivere secondo quello che la terra concedeva, adattarsi e convivere con quanto la natura forniva. Lo so, è anacronistico, ma sarebbe bello se al giorno d’oggi facessimo un passo indietro, ma questi sono altri discorsi.

Dalle miniere alla ghisa: la via del ferro in Valtrompia

La storia della Valtrompia è lineare e semplice. Un fiume, tanti pascoli, una montagna ricca di materiale da lavorare e tanta tanta passione e forza d’animo di chi in questi luoghi ogni giorno lavorava e sudava. E il termine “sudava” ci sta proprio a pennello, la storia valtriumplina passa anche da uno dei forni fusori più apprezzati e studiati dell’epoca: il forno fusorio di Tavernole sul Mella.

Siamo su quella che viene chiamata la via del ferro e delle miniere, ovvero l’itinerario più rappresentativo della proposta culturale della Valtrompia. Racconta il processo di trasformazione del materiale grezzo fino al prodotto finito. Lungo tutto il percorso della valle sono in molti i luoghi in cui si riscontrano le testimonianze dei tempi che furono. Uno tra questi è appunto il Museo del Forno di Tavernole che all’epoca veniva usato per l’industria siderurgica e veniva alimentato a carbone di legna.

È stato molto interessante scoprire come veniva prodotta la ghisa e come il fiume Mella era essenziale sia nella produzione del materiale semilavorato sia nella produzione del carbone di legna che consentiva il funzionamento del forno.

poiat valtrompia produzione carbone
Produzione del carbone di legna con i poiat

La produzione del carbone avveniva con un procedimento particolare a cui bisognava prestare molta attenzione. I catasti di legna prendevano il nome di “poiat” ed era necessario essere sempre all’erta affinché non prendesse fuoco l’intero montone di legna. Ecco il motivo dell’acqua. Era essenziale per spegnere il più veloce possibile un eventuale incendio.

Non solo. L’acqua era anche un elemento importante poiché consentiva un refrigerio ai lavoratori del forno che potevano immergersi in apposite vasche e provare un po’ di sollievo.

Il materiale che arrivava al forno di Tavernole era prelevato nelle vicine miniere di Pezzaze e Collio. Esse sono visitabili e permettono al visitatore di entrare in un’atmosfera dove si rievoca dal punto di vista sonoro il lavoro dei minatori.

forno fusorio tavernole via del ferroSi può capire quindi come la storia della Valtrompia sia legata indissolubilmente all’industria siderurgica.

Lo splendido Santuario della Madonna di Bovegno

Accanto alla via del ferro c’è un’altra via denominata “del sacro e dell’arte” il cui luogo più rappresentativo è il Santuario della Madonna di Bovegno o Santa Maria della Misericordia. Esso è stato edificato su quello che doveva essere il punto in cui si manifestò l’apparizione della Madonna. Il santuario è di una bellezza disarmante, quasi completamente decorato. La Madonna rappresenta il simbolo principe di questo santuario. È presente sull’altare, mentre nel punto in cui si dice sia apparsa sotto un vetro trasparente è collocato un tubo contenente il terriccio del luogo dell’apparizione.

Santuario della Madonna di bovegno valtrompiaIl Santuario della Madonna di Bovegno è associato anche a un aneddoto divertente.

Sapete che spesso in montagna ci sono rivalità più o meno bonarie tra paesi limitrofi, capite bene come queste possano essere enfatizzate qualora ci sia di mezzo l’aspetto religioso. All’interno del Santuario era presente un’ulteriore icona più piccola rappresentante la Madonna. Una madonnina molto, per così dire, accondiscendente.

Si narra che la madonnina si girasse con lo sguardo verso Bovegno o Pezzaze e gli abitanti di quel paese fossero gratificati dalla benedizione Madonna. Ecco, probabilmente la madonna in passato s’è voltata diverse volte ma non è ancora chiaro se si voltava lei o se qualcuno le dava una mano…

Il lavoro nei campi e lo spiedo ristoratore

La scoperta della Valtrompia è partita dunque con il forno fusorio e quindi l’artigianato manifatturiero. È continuata con il Santuario e gli aspetti religiosi che in passato erano fondamentali nella società.

#Feelvaltrompia è proseguito verso tematiche legate all’agricoltura, all’allevamento ed alla preparazione di quello che in terra bresciana rappresenta un’icona che non è possibile scalfire: lo spiedo.

Santuario della Madonna di bovegno

Prima di passare al lato mangereccio, vi voglio raccontare della torre nel borgo di Mondaro a Pezzaze.

Qui potrete trovare una serie di utensili che venivano usati ogni giorno dai “nostri” bisnonni. Lavorare la terra, l’arte del preparare il fieno, la preparazione del formaggio, la cura del bestiame…queste erano solo alcune delle mansioni e degli oneri a cui un uomo di montagna doveva far fronte per il proprio sostentamento. Ognuna era caratterizzata da diversi aggeggi preposti a facilitare il lavoro. L’evoluzione delle tecniche ha fatto sparire la necessità di questi utensili in favore di tecniche più automatizzate; nella torre medioevale di Pezzaze si può fare un tuffo nella storia e riscoprire gli oggetti che venivano utilizzati in passato. La cosa curiosa è che molti di essi non hanno nemmeno un nome in italiano, esiste solamente il nome in dialetto.

monega torre pezzaze
Monega – utilizzata per scaldare il letto con il calore delle braci

Piccola parentesi: sono un profondo sostenitore del dialetto, non inteso come lingua principale ma come elemento fondante della cultura bresciana, così come tanti altri dialetti in tutta Italia. Fa parte della nostra storia e non è necessario capirlo completamente. Ogni paese bresciano ha la sua cadenza, alcune declinazioni del dialetto sono più comprensibili ed altre meno. Quello che conta è non rifiutare un pezzo di cultura che volenti o nolenti fa parte dei bresciani. Bisogna esserne fieri così come era fiero l’uomo che ci ha fatto da guida all’interno della torre. Era fiero di poter dire “no, questo non posso tradurvelo perché non c’è la traduzione italiana”, mi ha fatto sorridere ed essere fiero anche io di essere bresciano.

E finalmente lo spiedo…

Ok, dopo avervi ammorbato dal punto di vista culturale della Valtrompia, parliamo di cose più leggere, anzi leggere per modo di dire. Di leggero c’è ben poco: sto parlando dello spiedo bresciano accompagnato da un bel cucchiaione di polenta.

polenta bresciana valtrompia

spiedo bresciano valtrompia

Una maratona da fuochisti che dura dalle 6 alle 8 ore in base alla temperatura esterna.

I bresciani conoscono bene questo piatto tipico. In ogni parte di Brescia c’è chi si accredita come “spiedo migliore”. Ognuno ha il suo mix di carni e la sua teoria sulla cottura, sul burro, etc. Non entro nel merito perché credo potrebbe essere peggio che la storia della madonnina.

#Feelvaltrompia si è concluso con la festa in questa frazione di Pezzaze, tra giochi e rievocazioni di musiche medioevali che hanno dato quella giusta dose di carica a questa domenica alla riscoperta della Valtrompia.

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